
"Il nostro riformismo radicale vede nella legalità, nel garantismo e nella lotta alle mafie i cardini della propria azione. La presunzione d'innocenza (articolo 27 della nostra Costituzione) e il giusto processo (articolo 111) sono i capisaldi che guidano il nostro pensiero. Capisaldi messi seriamente in pericolo dalle recenti riforme del governo 5 Stelle-Lega e minacciati da ulteriori progetti d'intervento. La realizzazione di un processo basato sulla parità delle parti e la terzietà del giudice è il nostro progetto in materia di giustizia penale. Il tema della separazione delle carriere appare ineludibile per garantire un giudice terzo e imparziale".
Come si può non essere d'accordo con questi principi autenticamente liberali? Per quanto ci riguarda li abbiamo sostenuti da sempre, quando al governo c'erano i 5 stelle e la Lega, quando c'era Forza Italia, il Pd e Renzi. Sempre e comunque. Certo si può cambiare idea, ma non si può cambiare posizione su principi di tale portata quando in maggioranza ci sono gli amici o quando governano invece gli avversari.
Lo diciamo senza astio, anzi, se ce lo consente, con simpatia personale verso la responsabile giustizia del partito democratico di ora e di allora: l'onorevole Debora Serracchiani. Infatti quanto virgolettato prima null'altro è che il programma sulla giustizia della mozione Martina/Serracchiani al congresso del Pd del 2019.
L'argomento di cui trattiamo, la riforma della giustizia, la separazione delle carriere tra chi accusa e chi giudica è troppo serio per essere trattato con superficialità. Ovviamente quanto sosteniamo riguarda tutti i partiti e non solo il Pd dell'onorevole Serracchiani. Si è conclusa la terza lettura della riforma della giustizia alla Camera dei Deputati, tra ottobre e novembre dovrebbe chiudersi definitivamente l'iter parlamentare con l'approvazione da parte del Senato. Ma non si chiuderà la vicenda, infatti, trattandosi di riforma costituzionale, ci sarà bisogno di un referendum "confermativo" così come previsto dall' Articolo 138 della Costituzione. Insomma nella primavera 2026 gli italiani saranno chiamati a confermare questa storica riforma che solo allora entrerà in Costituzione.
Le oltre mille vittime all'anno di errori giudiziari, le decine di migliaia di cittadini che ogni giorno, sbigottiti e attoniti, assistono alla scena del giudice e del Pm che in udienza si danno del tu, con questa riforma non avranno trovato vendetta, ma avranno giustizia.
In Italia di giustizia si muore, non nel senso che è prevista la pena di morte per alcuni reati, ma è certa la morte civile per chi viene anche sfiorato dalla oscena conferenza stampa del PM di turno che annuncia tronfio e trionfante di avere "scoperchiato il malaffare". Quando poi si scopre che in realtà nessun reato era stato commesso e che i comportamenti erano assolutamente leciti il danno ormai è fatto. La giustizia non può e non deve essere "creativa", non si possono creare ipotesi di reato e dopo pochi giorni assistere a pronunce del Tribunale del Riesame come per la vicenda cui stiamo assistendo a Milano relativa allo sviluppo urbanistico della città.
Quando affermo nei miei libri che il problema è innanzitutto culturale intendo proprio questo. Il Pm deve comprendere che non è suo compito dare giudizi morali e neanche fare la morale a chicchessia.
Deve limitarsi a individuare reati, prove di penale responsabilità, disegni criminosi. Ed è già tanta roba. Quando esonda da questi suoi compiti non è la giustizia che ne soffre, è lo stato di diritto che inesorabilmente declina.*Presidente della Fondazione Einaudi