Bisogna sapere scegliere in tempo, e su Francesca Albanese lo hanno fatto in pochi. Politici, opinionisti e volti tv ora fanno a gara a scendere dal carro della relatrice Onu caduta in disgrazia per una serie di incresciosi passi falsi. Eppure era osannata dall'intera sinistra: la mobilitazione anti-Israele l'aveva innalzata a leader, circondata da un'aura quasi religiosa: un po' influencer e un po' sacerdotessa dell'antisionismo. Eppure, se la scalata e la permanenza nel suo incarico di "rapporteur" sulla Palestina si spiega solo con lo stato attuale dell'Onu, egemonizzata da non-democrazie, la parabola discendente di Albanese ora si spiega facilmente con le "lotte" che pretende di incarnare. Conchita De Gregorio ha ammesso che il giorno prima del blitz della Stampa "aveva in animo" di partecipare al corteo di Genova: si è ricreduta dopo aver sentito gli slogan che risuonavano. Ma come è possibile? C'è chi da anni segue quei cortei, inorridisce ai cori pro Intifada, racconta le aggressioni alla Brigata ebraica il 25 aprile e i cartelli contro Liliana Segre, tutti segnali ignorati o flebilmente biasimati da una sinistra impegnata a tapparsi occhi e orecchie. Era chiarissimo dove si stava andando a parare.
Così, leggendo i social di Albanese, i suoi faziosissimi rapporti ma anche i giornali degli anni Settanta-Ottanta, si vede bene che la narrazione sul "genocidio" e contro Israele ("nazista"
ecc) viene da molto lontano. È cambiata, certo, oggi è "fluida" e social. È stata adattata da uno schema Guerra fredda (est-ovest) a uno woke (nord-sud). Ma si vedono ancora le impronte digitali della sinistra comunista.