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Retromarcia Stellantis: la Milano cambia nome

Le accuse di "Italian sounding" costringono Tavares al passo indietro sul modello Alfa prodotto in Polonia

Retromarcia Stellantis: la Milano cambia nome

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Alfa Romeo Milano? No, si chiamerà Junior. In neppure una settimana, a battesimo avvenuto praticamente in mondovisione, i grandi capi di Stellantis hanno innestato la retromarcia. Troppe le polemiche, con prese di posizione anche da parte di Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, rispetto al nuovo crossover compatto prodotto in Polonia e dedicato alle origini milanesi (1910) del marchio.

Una scelta definita controsenso e non all'insegna dell'italianità. Quindi, addio Milano, e ben tornata la denominazione Alfa Romeo Junior che si rifà alla Gt 1300 lanciata nel 1966 e venduta in 92mila esemplari, un vero status symbol dell'epoca.

«Siamo perfettamente consapevoli che questo episodio rimarrà inciso nella storia del marchio. È una grande responsabilità, ma al tempo stesso è un momento entusiasmante. La scelta del nuovo nome Junior è del tutto naturale, essendo fortemente legato alla storia del marchio ed essendo stato fin dall'inizio tra i nostri preferiti e tra i preferiti del pubblico. Decidiamo di cambiare, pur sapendo di non essere obbligati a farlo, ed evitare qualsiasi tipo di polemica», la spiegazione fornita da Jean-Philippe Imparato, ad di Alfa Romeo in Stellantis. Decisione presa, aggiunge una nota, «nell'ottica di promuovere un clima di serenità e distensione». Basterà?

Intanto, nei prossimi giorni è previsto l'arrivo in Italia, si parla di Milano, di Yin Tongyue, presidente del colosso cinese Chery, gruppo che starebbe discutendo proprio con il ministro Urso per produrre nel nostro Paese.

È vero che Chery sta per siglare un accordo per iniziare a sfornare vetture a Barcellona, in Catalogna, ma si tratterebbe di assemblare e adattare veicoli importati dalla Cina, non di una autentica produzione completa. In pratica, lo stesso metodo adottato dall'italiana Dr Automobiles, di Massimo Di Risio, a Macchia d'Isernia. Spagna a parte, la reale intenzione del presidente Yin Tongyue sarebbe di avere in Europa un vero stabilimento produttivo.

Allen Jean, country manager di Omoda (Chery) aveva confermato di recente al giornale.it che «stiamo vagliando varie possibilità e l'Italia potrebbe essere anche un'ipotesi da tenere in considerazione».

Come riporta l'agenzia Reuters, stabilire una capacità produttiva in Italia o in Spagna, dove la domanda di auto elettriche è relativamente bassa, si adatterebbe alla strategia di Chery di vendere un mix di veicoli con motore a combustione interna, ibridi e completamente elettrici. Un piano d'azione che non fa dormire sonni tranquilli ai gruppi occidentali

Oltre che con Chery, il ministro Urso ha in corso colloqui anche con Byd, che però ha già programmato di produrre in Ungheria, e sembra pure con Seres, di cui alcuni modelli fino a poco tempo fa erano importati in Italia da parte del gruppo Koelliker.

Vero è che se si concretizzasse lo sbarco in Italia di un secondo produttore di auto, per di più cinese, c'è da chiedersi se l'ad di Stellantis, Carlos Tavares, darebbe realmente il via alla preannunciata contromossa sugli impianti del gruppo nella Penisola. «Combatteremo, ma potrebbero esserci effetti collaterali... », la minaccia del top manager. Il tycoon cinese a capo di Chery sarà in missione nel Vecchio continente. Sua è anche l'intenzione di siglare un accordo sulle piattaforme con un marchio premium. E se il soggetto in questione facesse parte del gruppo britannico Jaguar Land Rover di proprietà dell'indiana Tata? Jaguar oppure Land Rover, dunque, e non sarebbe un'ipotesi campata per aria. In Cina, infatti, esiste già la joint venture Chery Jaguar Land Rover per la produzione di questi modelli.

Il nodo sarà sciolto nei prossimi giorni.

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