
Una cosa è certa. Al Reale di Castel di Sangro capisci che cosa intende la guida Michelin quando ti spiega che le tre stelle indicano un ristorante che "vale il viaggio". Perché per arrivare in quest'angolo di Abruzzo di montagna, se non sei in villeggiatura magari nella vicina Roccaraso, da Milano impieghi tipo sette ore e dalla più vicina Roma non meno di tre. La circostanza trasforma una visita qui, alla corte dei Romito (Niko lo chef, la sorella Cristiana bravissima manager e maître), in un autentico pellegrinaggio. Astenersi perditempo.
Del resto è questo forse il più sorprendente ristorante italiano, quello dal quale sono uscite più idee negli ultimi due decenni. Badate, non intendo trovate sceniche o guizzi grandguignoleschi, qui non siamo mica in Spagna. Intendo riflessioni vere, profonde sulla alimentazione contemporanea e sul modo in cui si possa fare cucina di alto livello eppure etica. Se mangiare è un atto politico, lo è anche cucinare e qui capirete il motivo.
Ciò non significa che dovrete aspettarvi, nella luminosa e scabra sala del Reale, un comizio in forma di pasto. Qui siamo sempre all'interno del principio di piacere e potete tranquillamente godervi l'esperienza (come si dice ora) in termini di puro godimento: ne riceverete a secchiate. Solo che se avrete anche voglia di trarre dall'esperienza (come si dice ora) qualche spunto di meditazione, sappiate che se c'è un menu non costruito a caso ma come un discorso coerente e articolato è quello del Reale.
Niko è uno dei veri rivoluzionari della cucina italiana contemporanea. La sua carriera è piena di atti di disobbedienza, che lui nel congresso Identità Golose 2024 nella sua lezione sul palco decise di chiamare "controesempi". Il controesempio, spiegò lui in quell'occasione, era "un esempio specifico che dimostra i limiti di una congettura o di un teorema", uno stimolo al pensiero critico che nel suo caso è consistito nel "mettere in discussione le convenzioni gastronomiche e sperimentare al di là dei confini tradizionali", dimostrando l'esistenza di "un'alternativa valida a una regola ben stabilita della gastronomia che rispetta i valori della tradizione ma la porta a una nuova dimensione".
Già, ma nel concreto? Romito ha cambiato le regole più volte nella sua storia. Lo fece nel 2009 con l'Assoluto di cipolla, piatto del 2009, un liquido con la struttura dell'acqua ma il sapore di cipolla forzando le regole espressive e concettuali. Lo fece rendendo, primo in Italia, il pane una portata vera e propria: la sua pagnotta, di una bontà erotica, viene prodotto e surgelato e poi rigenerato, e lui ha le prove che sia più buono di quello fresco, altra violazione della grammatica dell'alta cucina. Lo ha fatto ancora con la Bomba, che fu una disobbedienza al pregiudizio verso un prodotto industriale: lui ne realizza nel suo laboratorio una versione senza grassi e "scalabile", ovvero riproducibile nella sua bontà allo stesso modo a Castel di Sangro come a Dubai. Che poi è il nucleo del suo concetto di processabilità dell'alta cucina, la sola strada che potrà consentire in un futuro di portare qualità nella ristorazione collettiva, perché non è scritto su nessun vangelo che nelle mense si debba mangiare male, e poi, in scala ancora più grande, in tutto il pianeta. Stesso concetto declinato anche con lo Spaghetto e pomodoro, perché "la cucina italiana, tra le più conosciute del mondo ma anche tra le più maltrattate da interpretazioni sbagliate, deve poter essere codificata e fruita con la stessa qualità in contemporanea in diverse latitudini". Lo ha fatto riuscendo a creare un biscotto buonissimo eppure senza uova né grassi animali (il designer che abita in Romito si esalta nel risolvere problemi unendo funzione ed estetica). Lo ha fatto sfidando il cliché della stazione di servizio come luogo di camogli e insalate rinsecchite, e creando Alt Stazione del Gusto (con Enilive), una rete di store disseminati tra le strade a lunga percorrenza di tutta Italia nelle quali si mangiano cibi semplici di alta qualità: bombe dolci e salate, polpette al sugo, pollo marinato e fritto. Lo ha fatto infine, ultima rivoluzione in ordine cronologico, presentando nel 2022 un menu interamente vegetale in un ristorante tristellato per onnivori. Non era la prima volta che qualcuno sfidava il tabù dell'assenza delle proteine animali, ma era la prima volta che l'unico menu degustazione di un santuario della cucina italiana rinunciasse così sfacciatamente agli ingredienti considerati più nobili dal nostro ancora vivo retaggio post-miseria spingendo i clienti ad accettare la sfida di godersi un viaggio fatto di erbe, ortaggi, foglie. Un punto di non ritorno.
Il menu attuale di Reale (230 euro) è un percorso di passaggio, che conserva molti spunti del precedente percorso vegetalissimo, come nella Misticanza al pomodoro, olio e farro, nel Riso con pesto di basilico, anice e limone che ha il coraggio di rifiutare il pensiero unico del risotto entrando quasi nel terreno pop delle insalate di riso da spiaggia, nell'Insalata tiepida di bieta, nel virtuosismo mono-ingrediente della Carota, utilizzata in diverse forme e consistenze e con l'apporto fondamentale del succo, la cui acidità rende sinfonico un piatto altrimenti stancante per dolcezza. Ci sono anche la carne (Anatra e ginepro) e il pesce (Baccalà e foglia di fico) ma il piatto più volutamente provocatorio sono le Penne (lisce! Sacrilegio!) e salvia, un vero viaggio nell'amarezza, dal rifiuto all'accettazione e alla beatitudine.
Naturalmente c'è chi comprende e chi nega, chi sta al gioco e chi rimanda indietro il piatto al primo morso. Ma questa è la cucina di Romito: mangiare è necessità e piacere ma se non mettiamo in discussione i nostri atavici cliché non c'è futuro. E noi il futuro vogliamo che ci sia, e con tante penne lisce cucinate da Niko.