Cultura e Spettacoli

Sanremo e i brani da matita blu

Se il "musichicidio" fosse un reato, i primi giorni di febbraio, nella riviera dei fiori, sarebbero tutto un tintinnar di manette

Sanremo e i brani da matita blu

Se il «musichicidio» fosse un reato, i primi giorni di febbraio, nella riviera dei fiori, sarebbero tutto un tintinnar di manette. Il punto di vista di un classicista, durante e dopo Sanremo, è desolante. Ma Sanremo è anche questo: impossibile da non vedere, anche per il critico più intransigente. Premettiamo subito che, naturalmente, non ci è parso tutto da buttare. Anzi. Oltre ai «garanti» dell'italianità sanremese (Gianni Morandi, Iva Zanicchi, Massimo Ranieri, ad esempio) consola quel secondo posto del podio. Perché, per dirla con il tweet del maestro Nazzareno Carusi, la musica è la musica e la cantante/compositrice triestina conferma di saper maneggiare come si deve il pentagramma: «E allora prima Elisa, seconda Elisa Toffoli e terza Toffoli Elisa». Però, c'è un però: esiste un'anomalia - quantomeno per un festival che si dica della canzone - ed è la sempre più scarsa qualità tecnica delle composizioni musicali. Intendiamoci, non stiamo parlando di gusti - su quelli non si discute - ma di grammatica: trovare una canzone che rispetti l'abc della composizione è un'impresa titanica. Eppure, ogni brano è scritto, molto spesso, da tre, quattro, cinque, anche sei autori: non si direbbe Sorvoliamo sulle armonie, spesso di una banalità tale per cui anche un accordo di settima o una timida modulazione provoca piacere, ma non si può tacere su quegli erroracci da matita blu di composizione vocale come il non far coincidere gli accenti tonici con quelli musicali (soprattutto quando, in certi casi, le linee melodiche sarebbero pure carine). Risultati? Solo qualche esempio: «Un cielò di perle», «vivo dentrò una prigione» (Brividi, Mahmood&Blanco), «ovunque saraì, iò ti cercherò, iò ti ascolterò» (Ovunque sarai, Irama), «sei una boccata d'arià-ià-ià» (Farfalle, Sangiovanni), «non vuoi rèstare qui» (Ogni volta è così, Emma), «l'acquà del mare», «insegnami comè si fa» (Inverno dei fiori, Michele Bravi), «non ho niente da perderè» (Ti amo non lo so dire, Noemi), «chimica, chimicà» (Chimica, Ditonellapiaga con Rettore), «un treno presò di domenica» (Miele, Giusy Ferreri), e si potrebbe proseguire. Sanremo 2022 ha anche ufficializzato una prassi assai cara alla musica cosiddetta leggera degli ultimi tempi, ovvero dell'epoca in cui si è persa la cantabilità delle canzoni: l'estrema scarnificazione della melodia - e siamo all'estremo opposto dell'iperornamentazione con abbellimenti di Ana Mena - e la reiterazione del medesimo gruppo di note. Ne è un esempio lampante Sei tu di Fabrizio Moro: pressoché tutto il brano è costruito su uno schema di tre note discendenti ad altezze differenti. Tutto qui? Perché non provare a utilizzare qualche altra nota in qualche altra combinazione? Quello che è sicuro è che, specchio dei tempi, Sanremo certifica senza appello il sempre più incancrenito immiserimento armonico e melodico della composizione cosiddetta leggera.

Spiace per Achille Lauro, ma l'unico «battesimo» davvero anticonformista, per Sanremo, sarebbe quello in un buon manuale di solfeggio.

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