«La rivoluzione è in noi, ed è per noi che i rivoluzionari combattono costringendoci a pensare». Firmato Alda Fendi. Missionaria, come si definisce, dell’arte e della cultura con la sua Fondazione. Ma anche sorella delle sorelle: le Fendi. E ancora,nel medesimo biglietto di invito per l’happening romano, il suo direttore artistico, Raffaele Curi: «Tra le aiuole di Zuccotti park a Manhattan, come a Roma, Londra, Madrid, Atene “un vecchio ordine sta morendo, ma il nuovo non si vede ancora” (Antonio Gramsci). Cerchiamo di pensare al futuro, senza dimenticare le motivazioni del passato. Non insultiamo la leggenda di Guglielmo Tell». Sì ma non insultiamo neanche la leggenda delle cinque straordinarie sorelle Fendi che partite da una bottega di Via Piave a Roma, sono diventate le icone della moda italiana, grazie al loro talento, ma anche grazie ai principi che non piacciono agli Zuccotti fan e certamente a Gramsci.
La Zuppa di dicembre vuole omaggiare il made in Italy. E ritiene che forse più che Zuccotti servano Tamagnini. Inteso come ex banchiere, come Maurizio, come ex capo per l’Italia di Merrill Lynch e come attuale boss del Fondo strategico. Si tratta di uno strumento che può diventare fondamentale nelle mani del ministro dello Sviluppo economico Passera. La sua funzione è sulla carta semplice. Ha quattro miliardi di euro in cassa e altri tre sono attivabili con partnership con stranieri. Una potenza di fuoco considerevole nel momento in cui le banche non hanno un euro da impiegare. Il compito è quello di investire quote di minoranza in società del made in Italy che rischiano di fuggire dal Paese, non perché mal messe, ma a causa della struttura del nostro capitalismo. Una famiglia numerosa che non sa come spartirsi l’azienda. Un’impresa che è davanti a un bivio: comprarsi il concorrente (ma i soldi non ci sono) o vendere baracca e burattini. A quel punto il fondo di Tamagnini (alimentato dai quattrini del risparmio postale in mano alla Cassa depositi e prestiti) può entrare in società con una quota di minoranza e supportare lo sviluppo di una buona fetta della nostra industria strategica. L’ex banchiere ha scelto Milano come regia del suo fondo e si è già messo in casa una ventina di uomini in grado di gestire il fondo. Probabilmente oggi la famiglia Bulgari avrebbe davanti a sé un’alternativa prima di vendersi ai francesi. E sicuramente una parte della famiglia Brioni non avrebbe ceduto il proprio marchio all’estero. Ops, dimenticavamo. Tamagnini non può investire per statuto in aziende che perdono. Una buona spezia per questa zuppa.
P.S. Grande attesa per l’incontro dello studio di fiscalisti Maisto che si terrà a porte chiuse in un albergo di Milano, lunedì prossimo. Intermediari finanziari, professionisti e imprese saranno lì per capire meglio le misure fiscali previste dalla manovra Monti riguardo allo sviluppo delle imprese e allo Scudo fiscale.
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