"Quelle mistiche selvagge che nella loro trasgressione hanno sfiorato l’Assoluto"

La studiosa Lucetta Scaraffia racconta otto "irregolari" del Novecento: "Un’esperienza vissuta al di fuori dei codici religiosi"

"Quelle mistiche selvagge che nella loro trasgressione hanno sfiorato l’Assoluto"

Nel 1988 Giovanni Pozzi e Claudio Leonardi idearono, per Marietti, un’antologia di Scrittrici mistiche italiane. Il libro, straordinario, finito fuori dai radar editoriali da tempo – nello schema generale è riproposto in Mistiche (Magog, pagg. 198, euro 18 a cura di Alessandro Deho’) –, testimonia una sorta di contro canone della nostra letteratura. Le «mistiche» contemplate da Pozzi e Leonardi – dalle notissime, Angela da Foligno, Caterina da Siena, Veronica Giuliani, alle purissime ignote, Osanna Andreasi, Maria Celeste Crostarosa, Angela Gavazzi – sono state spesso vessate, marginalizzate, processate. Di queste donne, scrittrici per estro e per necessità, sono proprie l’ossimoro e la tautologia, «figure linguistiche di frontiera», che sfidano «l’ineffabile». Ossimoriche e tautologiche sono le «Otto mistiche laiche del Novecento» riferite da Lucetta Scaraffia in Dio non è così (Bompiani, pagg.
192, euro 18), donne «di frontiera», «ineffabili», protagoniste di un «tipo di esperienza mistica di natura spontanea, oserei dire selvaggia... non nella gabbia di schemi consolidati e accettati, ma con una libertà nuova» (Scaraffia).
Alle biografie più attese – Simone Weil, Chiara Lubich, Romana Guarnieri – seguono profili spiazzanti: quello di Banine, ad esempio, l’audace scrittrice di origine azera. Il libro è aperto dal profilo di Catherine Pozzi, poetessa di vitrea sapienza, amata da Paul Valéry, amica di Rilke, pari, per vertigine, secondo Michel de Certeau, alla grande mistica Hadewijch. «Essere donne, essere in un certo senso sempre irregolari, dà a tutte una ampiezza di vedute che le porta a scelte innovative», scrive la Scaraffia: l’abbiamo contattata. Non credo sia un caso la citazione, in esergo, di Benedetto XVI: «Querere Deum – cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui». Era il settembre del 2008, il Santo Padre parlava a Parigi, al Collège des Bernardins. «Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione». Disse questo, tra l’altro.
Circoscriviamo il termine. Cosa intende per «mistica»?

«Per mistica intendo passione per l’assoluto, ricerca di raggiungere un contatto personale con l’assoluto».

Quando parla di mistica «selvaggia» mi ricorda Paul Claudel che aveva coniato, a proposito di Rimbaud, la formula «mistico allo stato selvaggio». Come dobbiamo intendere la mistica «femminile»?

«Mistica selvaggia perché è esperienza vissuta al di fuori dei codici imposti dalla religione, che ha cercato di controllare l’esperienza mistica e di certificarla distinguendola in buona e cattiva, cioè demoniaca. Queste otto donne non erano alla ricerca di una codificazione da parte religiosa istituzionale, sia perché non erano religiose professe sia perché se lo potevano permettere: nel ’900 non correvano più il pericolo di venire punite come eretiche. Una libertà dalla religione istituzionale che si configura anche come libertà dal controllo maschile.
Per questo penso che fossero tutte, più o meno consapevolmente, femministe: del resto lo prova la loro vita».

Qual è il carisma di questo misticismo?

«Esistono diversi tipi di misticismo, anche se quello più noto è quello certificato dal linguaggio, cioè dal racconto diretto delle esperienze mistiche. Queste donne, quasi tutte fini intellettuali, hanno raccontato la loro esperienza per scritto, in modi diversi fra di loro, e con modalità diverse da quelle tradizionalmente attribuite alla narrazione dell’esperienza mistica. Proprio per questo svolge un ruolo importante anche la loro vita che, in tutti i casi, dimostra la possibilità di sperimentare un rapporto intenso con l’assoluto all’interno di vite normali, segnate da una professione, spesso una famiglia e comunque anche rapporti intensi e perfino trasgressivi con uomini. In questo si misura tutta la loro libertà».

Mistica, di solito, si lega a un pensare e a un vivere eterodosso. È davvero così? Perché?

«In realtà, nella storia del cristianesimo, mistica si lega a una vita super ortodossa, rinchiusa al mondo, dedicata a una ascesi totale. Il controllo esercitato sulle mistiche imponeva loro di provare la verità del rapporto con il divino attraverso una vita di rinunce. Lo stile di vita eterodosso, legato a una mistica che possiamo definire “selvaggia”, nasce dalla particolare posizione morale in cui si trova a vivere chi sperimenta queste esperienze, al di sopra del bene e del male».

Quale, tra le figure che ha scelto, l’ha sorpresa per l’audacia, per la “sconvenienza”?

«Direi Banine, la musulmana atea che nei suoi libri autobiografici racconta con ironia di avere fatto quello che noi oggi chiamiamo la escort, che non rinnega niente della sua vita avventurosa e difficile, e che sa far crescere la sua sete di conoscenza intellettuale in sete di conoscenza mistica e raccontarla».

Mi pare, a bracciate, che la mistica italiana più mistica di tutte, sia Cristina Campo. Lei non l’ha rubricata. Come mai?

«Ho letto Cristina Campo, che amo moltissimo. Ma più che una mistica mi è sembrata una cacciatrice di misticismo, che sa riconoscere e raccontare, e soprattutto far scoprire e amare. Ma non mi è mai sembrata una mistica lei stessa, se pure una donna di straordinaria sensibilità.

Ho anche trascurato Etty Hillesum, che certo era una mistica della stessa famiglia delle mie otto mistiche, ma sulla quale si è già detto e scritto tanto. Ugualmente non ho inserito María Zambrano, che considero mistica, perché non sono riuscita a trovare documentazione esauriente sulla sua vita».

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