Maria Falcone scende in campo: "Basta usare il nome di Giovanni"

La sorella del giudice: "Doveroso ricordare che a parlare per lui sono i suoi scritti e il suo lavoro, non interpretazioni o addirittura interviste mai esistite"

Maria Falcone scende in campo: "Basta usare il nome di Giovanni"

Alla fine Maria Falcone è scesa in campo e ha deciso di mettere - o almeno di provarci - la parola fine all'infinita corsa a tirare per la giacchetta il fratello Giovanni. Una dichiarazione netta e chiara che solo per i malpensanti si potrebbe prestare a esegesi.

"Negli ultimi giorni ho ascoltato troppe voci sulla riforma della giustizia e soprattutto a proposito della separazione delle carriere. Trovo di cattivo gusto che si continui a tirare in ballo mio fratello Giovanni, utilizzando il suo nome per sostenere posizioni che lui non può commentare, né confermare, né smentire. Lo trovo profondamente scorretto e irrispettoso verso la sua memoria", tuona la sorella del magistrato ucciso dalla mafia nel 1992. Che poi continua: "Giovanni Falcone non può replicare e credo sia doveroso ricordare che a parlare per lui sono i suoi scritti e il suo lavoro, non interpretazioni o addirittura interviste mai esistite". Ecco, far parlare i suoi scritti e il suo lavoro, che sono tra l'altro contenuti in un testo che abbiamo più volte citato dal titolo "Interventi e proposti (1982-1992)" edito da Sansoni Editore in collaborazione proprio con la Fondazione Falcone.

Anche se non lo dice, quando la Falcone parla delle interpretazioni del pensiero o delle interviste mai esistite è indubbio che il riferimento vada sia al procuratore di Napoli Nicola Gratteri e alla falsa intervista letta in diretta tv su La7 sia alla bufala scritta dal Fatto quotidiano che si è inventato una intervista a Repubblica il 25 gennaio 1992. Il direttore Marco Travaglio ha porto le sue scuse ai lettori così come il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. Quello che invece non ha chiesto mai scusa e anzi ha scaricato la colpa dicendo: "Me l'hanno mandata persone serie e autorevoli dell'informazione, me l'hanno riportata come autentica e io l'ho letta", è proprio Gratteri che poi non contento ha peggiorato la situazione aggiungendo un'altra gaffe invitando a rileggere quello che Falcone disse l'8 maggio del 1992 all'Istituto Gonzaga dei Gesuiti di Palermo. E strumentalizzando in modo errato la seguente citazione: "Io credo che prima o poi si riconoscerà che non è possibile una meccanicistica separatezza, perché ciò determina grossi problemi di funzionamento e di raccordo". Peccato però che Falcone facesse riferimento alla distinzione tra poteri dello Stato. Non solo: spiegava pure di essere stato attaccato per essersi espresso a favore della separazione delle carriere.

Ma per tornare alla richiesta della sorella del giudice, ovvero di far palare i suoi scritti e il suo lavoro, basta rileggerli e riportarli per onore della verità.

"La regolamentazione della carriera dei magistrati del pubblico ministero non può più essere identica a quella dei magistrati giudicanti, diverse essendo le funzioni e, quindi, le attitudini, l'habitus mentale, le capacità professionali richieste: investigatore il pm, arbitro della controversia il giudice".

"Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa (...) E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para-giudice. Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti. Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e pm siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri. Chi, come me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell'indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell'azione penale, desideroso di porre il pm sotto il controllo dell'Esecutivo. È veramente singolare che si voglia confondere la differenziazione dei ruoli e la specializzazione del pm con questioni istituzionali totalmente distinte".

"O ci si renderà conto della specificità del ruolo del pubblico ministero, della sua qualità di parte in un processo di tipo accusatorio, e della necessità di certe professionalità, di certe qualificazioni professionali, che sono diverse rispetto a quelle del giudice, oppure questo codice continuerà a creare problemi".

"Io credo che bisognerà ridiscutere e approfondire tutti i vecchi problemi di sempre; i criteri di addestramento e aggiornamento professionale del pubblico ministero, la stessa unicità delle carriere con quella dei giudici, i criteri di valutazione e di progressione in carriera, il conferimento degli incarichi direttivi e la eventuale temporaneità degli stessi; la personalizzazione o meno degli uffici del pubblico ministero, i controlli istituzionali e le correlative responsabilità dei magistrati. Non possono esistere argomenti-tabù".

"Se non si terrà conto, infatti, che la connotazione come parte del pubblico ministero e la sua maggiore incisività nella ricerca e nella formazione della prova richiedono inesorabilmente una sua specifica professionalità, che lo differenzia necessariamente dalla figura del giudice (di cui correlativamente è stata accentuata la terzietà), si correrà il rischio concreto di formare dei pubblici ministeri professionalmente poco idonei e, quindi, di non assicurare un efficace funzionamento della giustizia penale. Non si tratta di esprimere preferenze o timori per un pubblico ministero dipendente dall'esecutivo o per carriere separate all'interno della magistratura; anche se su questi temi ci si dovrà confrontare al più presto con mente scevra da preconcetti per elaborare e proporre le scelte ritenute più idonee. Si tratta, invece, di prendere atto responsabilmente che le attitudini ed i compiti specifici del pubblico ministero, richiesti dal nuovo modello di processo penale, comportano una sua specifica formazione professionale, che coincide solo in parte con quella del giudice e che anzi, in punti qualificanti, ne diverge nettamente".

Giovanni Falcone

"Su questa direttrice bisogna muoversi, accantonando lo spauracchio della dipendenza del pubblico ministero dall'esecutivo e della discrezionalità dell'azione penale, che viene puntualmente sbandierato tutte le volte in cui si parla di differenziazione delle carriere. Disconoscere la specificità delle funzioni requirenti rispetto a quelle giudicanti, nell'antistorico tentativo di continuare a considerare la magistratura unitariamente, equivale paradossalmente a garantire meno la stessa indipendenza e autonomia della magistratura, costituzionalmente garantita sia per gli organi requirenti che per gli organi giudicanti".

"È unanimemente riconosciuto che i valori dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura non costituiscono un privilegio di casta, ma un necessario riconoscimento previsto al fine di garantire l'imparzialità del giudice e l'eguaglianza del cittadino di fronte alla legge; si tratta quindi di valori che debbono essere intesi non in senso formale, ma in funzione dei fini in vista dei quali sono stati riconosciuti. Se così è, a me sembra che, continuando a disciplinare unitariamente la carriera dei magistrati con funzioni giudicanti e quella dei magistrati requirenti, non si potranno cogliere normativamente le specificità delle funzioni requirenti"

"Dal momento che non si può disconoscere che un giudice penale, ormai passivo e terzo rispetto all'esercizio dell'azione penale e alla attività di acquisizione delle prove, ha esigenze di indipendenza e di autonomia, identiche nella sostanza ma ben diverse nel loro concreto atteggiarsi, rispetto a un pubblico ministero che ha la responsabilità e l'onere, non solo dell'esercizio dell'azione penale, ma anche della ricerca delle notizie di reato e degli elementi che gli consentiranno di esercitare utilmente il suo magistero."

"In particolare intendo riferirmi alla netta differenziazione fra pubblico ministero e giudice: il pubblico ministero deve prendere coscienza di essere parte e

deve improntare la sua attività a questo suo nuovo ruolo assai diverso da quello dell'attuale giudice istruttore. Se cambierà la mentalità e se saranno approntate le necessarie strutture materiali, la riforma decollerà".

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica