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Caso Emanuela Orlandi, tutti i misteri sull’amica Laura Casagrande

Le versioni contrastanti, i vuoti di memoria e le “vacanze forzate” dopo la scomparsa. Tutto quello che non torna sulle dichiarazioni di Laura Casagrande

Emanuela Orlandi e Laura Casagrande
Emanuela Orlandi e Laura Casagrande

A quarantadue anni dalla scomparsa di Emanuela Orlandi, avvenuta il 22 giugno 1983, e a quasi dieci dall’archiviazione dell'indagine del 2016 voluta dall’allora procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone, un nuovo fronte investigativo riporta sotto i riflettori la scuola di musica “Tommaso Ludovico da Victoria”, da cui la quindicenne cittadina vaticana uscì poco dopo le 19 per poi svanire nel nulla.

La svolta ruota attorno a Laura Casagrande, oggi 56enne, ex compagna di lezioni di musica di Emanuela, recentemente indagata dalla Procura di Roma per false informazioni al pubblico ministero. A innescare il nuovo filone è stata soprattutto la sua audizione davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta, il 20 giugno 2024, giudicata dai commissari piena di omissioni, contraddizioni e inspiegabili vuoti di memoria.

I “non ricordo” che insospettiscono

I punti oscuri sono numerosi, la presunta non conoscenza di alcune amiche presenti quel 22 giugno 1983, o anche i cambi di versione sull’aver visto o meno Emanuela all’uscita della scuola e ancora, la ricostruzione incerta della consegna del proprio numero di telefono alla ragazza scomparsa e in ultimo il repentino allontanamento da Roma subito dopo i fatti, le cosiddette “vacanze forzate”. Un mosaico frammentato che ha finito per irritare e insospettire deputati e senatori della Commissione.

Il possibile collegamento con il fotografo Marco Accetti

Da mesi il nome di Laura Casagrande circolava in ambienti investigativi e mediatici. Un’indiscrezione in particolare merita attenzione. Il fotografo Marco Accetti, riconosciuto da tre perizie foniche come il cosiddetto “Americano”, avrebbe fatto riferimento a lei, senza nominarla ufficialmente, in una memoria consegnata agli inquirenti e alla Commissione.

Secondo quanto riferito da Marco Accetti, la ragazza che nel 1980 riconsegnò la borsa ad Antonella Fini davanti alla scuola di via Montebello sarebbe la stessa giovane che, tre anni dopo, vide Emanuela Orlandi per l’ultima volta in corso Rinascimento il 22 giugno 1983. Un collegamento che unisce due episodi distinti ma temporalmente vicini e che apre un interrogativo centrale per gli inquirenti: Accetti conosceva Laura Casagrande, oggi indagata, e si riferiva a lei quando parlava di quella ragazza?

L’indizio dello spartito

Uno dei nodi centrali dell’intera vicenda è lo spartito musicale del compositore spagnolo Hugues, fatto ritrovare dai rapitori nel settembre 1983 come prova del possesso di Emanuela. Sul frontespizio comparivano, scritti a penna, alcuni nomi e indirizzi, tra cui quello di Laura Casagrande.

Durante l’audizione emerge una precisazione fondamentale, sulla copertina è presente solo l’indirizzo di casa Casagrande, non il numero di telefono, che compare invece accanto al nome di un’altra ragazza, Carla De Blasio. Un dettaglio tutt’altro che secondario, che ridisegna la dinamica del primo contatto telefonico con i rapitori.

L’audizione del 20 giugno 2024

La seduta si svolge a Palazzo San Macuto. Il presidente Andrea De Priamo invita la testimone a riferire ciò che ritiene utile all’indagine. Casagrande descrive un rapporto superficiale con Emanuela, corsi diversi, qualche scambio di saluti, nessuna vera amicizia. Dice di averle scritto indirizzo e telefono sul quaderno per uno scambio di cartoline estive, definendo quel gesto “incauto”.

Racconta poi della telefonata ricevuta in famiglia, della madre emotivamente scossa, del messaggio dettato e consegnato all’Ansa. Ma già qui emergono imprecisioni temporali che non passano inosservate.

“Non uscimmo insieme”

Alla domanda se tornassero a casa insieme, Casagrande risponde in modo evasivo. Qualche tratto di strada, forse qualche autobus preso insieme, ma nulla di abituale. Quando il presidente insiste sul ricordo del giorno della scomparsa, la risposta è netta: “Non uscimmo insieme, me ne sarei ricordata”. Un passaggio cruciale, perché contrasta con precedenti dichiarazioni rese a carabinieri e Squadra Mobile.

Le versioni che non coincidono

Il vicepresidente Roberto Morassut ricorda alla testimone che negli atti esistono almeno due versioni diverse, in una, Casagrande dice di aver visto Emanuela alla fermata degli autobus 70 e 26, ma nell’altra, di averla vista allontanarsi frettolosamente verso l’autobus. Ora, davanti alla Commissione, compare una terza versione, non averla vista affatto. Alla richiesta di spiegazioni, la risposta è un secco “non ricordo”.

Suor Dolores e le telefonate misteriose

Altro punto critico riguarda suor Dolores, figura centrale nella scuola di musica. Dagli atti risulterebbero telefonate molto mattutine alla famiglia Casagrande, ma la testimone nega con decisione. Anche sul luogo in cui Emanuela avrebbe annotato il numero di telefono, spartito o bigliettino, la memoria appare frammentata.

Le “vacanze forzate” in Umbria

Un passaggio particolarmente significativo emerge quando Casagrande racconta di essere stata portata per settimane in Umbria, dalla nonna, subito dopo la telefonata dei rapitori. Una decisione presa, dice, per allontanarla da Roma e dall’assedio mediatico. Di fatto, una scomparsa parallela, che interrompe ogni possibile confronto immediato con altri testimoni.

Il clima si fa teso

Con l’andare avanti dell’audizione, il tono cambia. I “non ricordo” si moltiplicano, la tensione cresce. Il presidente De Priamo arriva a minacciare l’escussione sotto giuramento, sottolineando quanto sia difficile “digerire” un vuoto di memoria totale su un evento che appartiene alla storia del Paese.

Il nodo dei capelli ricci

Un dettaglio apparentemente marginale assume poi un peso investigativo, l’aspetto della ragazza vista da Raffaella Monzi (una testimone chiave nella vicenda della scomparsa considerata una delle ultime persone ad averla vista) parlare con Emanuela poco prima della scomparsa che aveva capelli scuri e ricci. Alla domanda diretta se li avesse anche lei, Casagrande risponde di aver fatto la permanente solo dopo quei fatti. Una precisazione netta, che sembra finalizzata a escludersi da quella scena.

Nel finale dell'interrogatorio, emergono elementi più umani, la paura, l’angoscia familiare, l’abbandono definitivo della scuola di musica. Casagrande parla di fragilità emotiva, di una tendenza alla rimozione come meccanismo di difesa, di una vita segnata da crisi nervose.

“Non ho la certezza che sia morta”

Alla senatrice Pirovano (una delle componenti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori) Casagrande confessa di parlare ancora di Emanuela al presente, perché non esiste una prova certa della sua morte. Una frase che colpisce, in contrasto con la freddezza mostrata su molti dettagli concreti.

Il “buio” come parola chiave

L’audizione si chiude in un clima di evidente frustrazione. “Buio”, “vuoto totale”, “non ricordo”, sono queste le espressioni che dominano la testimonianza di una figura ritenuta cruciale.

Ora tocca alla Procura di Roma, in sinergia con la Commissione parlamentare, tentare di trasformare quel buio in luce. Perché il caso Orlandi, a oltre quattro decenni di distanza, continua a essere uno dei misteri più intricati e inquietanti della storia italiana recente.

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