L'ombra dell'Iran sul Medio Oriente: così si prepara la resa dei conti coi Pasdaran

L'attacco di Hamas chiama in ballo l'Iran. Aumenta la tensione in Medio Oriente e cresce la possibilità di un'escalation generalizzata. Siamo alla resa dei conti con il regime di Teheran?

L'ombra dell'Iran sul Medio Oriente: così si prepara la resa dei conti coi Pasdaran
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La strage del 7 ottobre compiuta da Hamas e costata la vita a più di 1300 israeliani, oltre a mandare in frantumi la percezione di inviolabilità dello Stato ebraico, ha ricordato al mondo come ogni tentativo di ridisegnare un nuovo equilibrio in Medio Oriente non possa non tenere conto dell’Iran. Gli 007 si affannano in queste ore a cercare prove di un coinvolgimento diretto del regime degli ayatollah con il piano di morte del movimento islamista che controlla la Striscia di Gaza. Anche se la “pistola fumante” non è stata ancora trovata molti analisti si domandano chi ci guadagni davvero dal caos che ha investito la regione a seguito del sabato nero d’Israele. La risposta degli esperti è pressoché unanime e punta in un’unica direzione: Teheran.

L’attacco a sorpresa di Hamas ha segnato la fine dell'illusione alla base del grande progetto per il Medio Oriente a cui Israele e Stati Uniti stavano lavorando. Tel Aviv era convinta infatti che la questione palestinese avesse perso d’importanza tra i Paesi arabi e potesse essere relegata in secondo piano. Un catastrofico errore di valutazione per il premier Benjamin Netanyahu che, dopo la firma degli accordi di Abramo con Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco e Sudan era ad un passo da normalizzare le relazioni con l’Arabia Saudita. L’11 settembre israeliano ha colto di sorpresa anche Washington che aveva appena raggiunto con Teheran un’intesa per lo scambio di prigionieri e lo sblocco a suo favore di sei miliardi di dollari congelati a causa delle sanzioni imposte contro il regime. Si conclude così per il presidente Joe Biden il tentativo di aprire un canale diplomatico, seppur fragile, con un Paese considerato suo nemico storico.

L'Arabia Saudita aveva accettato l'avvicinamento ad Israele in cambio di un accordo con gli Stati Uniti che, tra i vari punti, avrebbe dovuto permettere a Riad lo sviluppo di un programma nucleare civile. In un pericoloso mix di ingenuità e pensiero magico Tel Aviv e Washington avevano sottovalutato l’accresciuto senso di accerchiamento che sarebbe derivato per Teheran da un’alleanza tra due dei suoi maggiori nemici, un'intesa peraltro benedetta dal Grande Satana americano. Il presidente Usa che mirava anche ad un disimpegno mediorientale al fine di focalizzarsi sulla minaccia cinese, era comunque consapevole della rischiosa scommessa geopolitica e con lo sblocco dei fondi iraniani aveva offerto un ramoscello d’ulivo al regime degli ayatollah.

Anche se non sono ancora emerse prove schiaccianti del coinvolgimento dell’Iran, gli attacchi di Hamas hanno già modificato gli equilibri di forza in suo favore. Il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman ha annunciato la sospensione dei negoziati con Netanyahu mentre la Cina e la Russia, Paesi sempre più vicini a Teheran, si stanno distinguendo per una certa freddezza verso Israele.

Il “lavoro sporco” compiuto dai proxies, gli alleati non statuali dell’Iran come Hamas e Hezbollah, sembra dunque aver ottenuto un risultato favorevole agli interessi del regime di Ebrahim Raisi senza pagarne, almeno sino ad ora, le conseguenze. Un copione andato in scena in passato in Iraq, Libano e Yemen che, come sottolinea un’analisi del Wall Street Journal, prevede che il Paese colpito dalle manovre destabilizzatrici più o meno dirette da Teheran sia più impegnato a spegnere l’incendio che non prestare attenzione a chi lo ha appiccato.

In apparenza la reazione iniziale d’Israele sembra confermare questo scenario. In queste ore Tel Aviv sta completando i preparativi per l’operazione di terra nella Striscia di Gaza ed è concentrata nel monitoraggio e contenimento della minaccia sul fronte nord rappresentata dai miliziani di Hezbollah. Questa volta però la Repubblica islamica potrebbe aver compiuto un errore dalle conseguenze catastrofiche. Funzionari del Pentagono hanno infatti dichiarato in maniera esplicita che il dispiegamento delle portaerei americane USS Eisenhower e Uss Gerald R. Ford assieme ad altre unità navali e aeree nel Mediterraneo orientale ha come obiettivo quello di scoraggiare gli iraniani, Hezbollah e altri gruppi vicini a Teheran dall’entrare nel conflitto israeliano.

Per Charles Kupchan, professore di relazioni internazionali alla Georgetown University ed ex consigliere di Barack Obama, c’è il rischio, remoto ma sempre possibile, di uno scontro diretto tra Stati Uniti ed Iran. Il redde rationem per il regime degli ayatollah potrebbe essere più vicino che mai.

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