"Conta solo la forza...". Le inquietanti parole di Xi Jinping

I discorsi del presidente cinese ai suoi militari svelano la visione pessimistica dei rapporti di forza tra Washington e Pechino

"Conta solo la forza...". Le inquietanti parole di Xi Jinping
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Il 2023 non è stato un anno tranquillo per le relazioni tra Stati Uniti e Cina. Per questo motivo domani gli occhi di tutto il mondo saranno puntati sull'incontro tra Joe Biden e Xi Jinping a San Francisco, un vertice che arriva ad un anno di distanza dal precedente summit svoltosi a Bali e che con tutta probabilità sarà l’ultimo prima delle elezioni presidenziali americane. Inoltre, dettaglio ancora più rilevante, sarà anche l’ultima occasione di confronto diretto per i leaders delle due superpotenze prima della cruciale tornata elettorale a Taiwan a gennaio. Non è difficile immaginare quindi la quantità di rapporti preparati in queste ore dai consiglieri del presidente Usa che cercano di rispondere ad un unico e fondamentale interrogativo: cosa pensa davvero Xi dell’America e delle relazioni con Washington?

Una risposta prova a darla il New York Times che ha potuto visionare i discorsi pronunciati tra il 2012 e il 2016 dal presidente cinese ai militari dell’Esercito popolare di liberazione e ai funzionari del Partito comunista, contenuti nei volumi pubblicati ad uso interno dalle forze armate di Pechino. Ad emergere con prepotenza è l’immagine di un politico ambiguo che nelle sue visite negli Stati Uniti mostra il suo volto più rassicurante corteggiando le aziende tech Usa, nega l’intenzione di militarizzare il Mar Cinese Meridionale e declama un nuovo modello nelle relazioni tra le superpotenze. Nella realtà, fatto ritorno in patria, mette invece in guardia il suo esercito da una competizione inevitabile tra i due Paesi che potrebbe sfociare in un conflitto.

“Le leggi della giungla della competizione internazionale non sono cambiate”, dichiara Xi ai militari nel 2014 per poi rendere ancora più chiaro il concetto un anno dopo:“Nelle diatribe internazionali le operazioni politiche sono molto importanti ma alla fine ciò che conta è se hai la forza e se puoi usarla”. E ancora, “la potenza crescente del nostro Paese è il più importante fattore alla base del profondo cambiamento dell’ordine globale”.

Nelle dichiarazioni di Xi formulate nei suoi primi anni al potere appare già evidente la consapevolezza che Pechino intende rompere uno status quo contraddistinto da una relativa pax americana. Il primo ad accorgersi del cambiamento è Barack Obama che nell’incontro del 2013 con il suo omologo cinese prende le misure del leader appena entrato in carica. Ben Rhodes, uno dei consiglieri più stretti dell'ex presidente democratico, conferma l'impressione di un capo di Stato “molto più assertivo e sicuro di sé" rispetto al suo predecessore Hu Jintao.

Quando arriva al potere, Xi ha una ben definita visione del sentiero su cui intende condurre il suo Paese. La crisi finanziaria cominciata nel 2007 rappresenta il crollo del mito della competenza economica americana che offre a Pechino la possibilità di cambiare le regole del gioco. “Più velocemente ci sviluppiamo e maggiore sarà lo choc esterno e ancora più grande il contraccolpo strategico” sostiene il presidente cinese.

Altrettanto chiari sono i pericoli che Xi vede all’orizzonte e che spiegano la militarizzazione del gigante asiatico. Il leader cinese condivide con Vladimir Putin la convinzione che gli Stati Uniti destabilizzino i loro rivali promuovendo insurrezioni in nome della democrazia. Le “rivoluzioni colorate” nei Paesi un tempo sotto il controllo di Mosca e poi la “primavera araba”, oltre al crollo dell'Unione Sovietica, sarebbero per Xi anche una conseguenza della libera circolazione di quelle che lui definisce “idee occidentali”.

“A spaventarlo di più è stato l’Egitto perché Hosni Mubarak era un ufficiale dell’esercito e, nonostante ciò, le forze armate lo hanno rovesciato” afferma John Culver, un ex funzionario della Cia, secondo il quale il riarmo di Pechino a cui abbiamo assistito negli ultimi anni sarebbe la risposta ad un'unica domanda che attanaglia la dirigenza cinese:"se le proteste di piazza Tienanmen avvenissero oggi l'esercito salverebbe il Partito?". Con queste premesse ed un generale clima di diffidenza, che si svolga un incontro tra i massimi rappresentanti delle due principali potenzie mondiali è già una buona, e forse non scontata, notizia.

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