
Il 27 maggio 1990 era una domenica piuttosto fresca. L'Italia tutta era in fibrillazione perché dodici giorni dopo si sarebbero inaugurati i Mondiali di casa, sembrava l'alba di una nuova Italia (spoiler: non lo era). Gli anni Ottanta erano appena finiti con il vecchio mondo che cadeva a pezzi come un vecchio presepio (e come il muro di Berlino) e stavamo ancora togliendo dalla confezione il nuovo decennio che ci avrebbe portato al bug del millennio.
Quel giorno a Senigallia, placida cittadina di mare nelle Marche che sembrano ancora Romagna, due fratelli, Mauro e Catia con la "c" Uliassi, aprivano la loro trattoria sul lungomare, con il loro cognome. "In quel momento era poco più che una baracca sul mare, ma in quella posizione tra il fiume e la spiaggia era già bellissimo". Mauro, il cuoco, aveva trentadue anni, per il mondo della ristorazione non era più un ragazzino. Di fare lo chef inizialmente non aveva alcuna intenzione, aveva studiato da tecnico industriale, annoiandosi a morte. E quindi si era trasferito armi e bagagli all'alberghiero, che i genitori insistevano, e lì alla fine si era trovato bene. Al punto che negli anni dopo in quella scuola avrebbe insegnato, mentre girava per le cucine d'Europa a caccia di esperienze, e mentre apriva, nel 1986, la "pizzaria" (nelle Marche si usa così) Da Mauro e l'impresa era andata così così, anzi, diciamocelo, era andata proprio male ma non aveva fatto passare la voglia a Mauro di provarci. Anche perché ormai aveva deciso: era un cuoco, lui. E a farglielo capire era stata la moglie Chantal, non perché lei volesse convincerlo ma perché, innamoratissimo, lui aveva preso a cucinare come un matto per lei e per i suoi amici e quella, alla fine, era la felicità.
Mauro e Catia erano cresciuti nel bar gestito dai genitori, andavano in giro per i tavoli, "eravamo educati, spiritosi, carini", respirando quel senso per l'ospitalità che si portano dietro da allora. Nel 1990 "eravamo una gang di ragazzi che giocavano a fare i ristoratori. Non avevamo ancora uno stile identificativo, ma avevamo ereditato il palato da nostra nonna Jolanda e da nostra madre Bianca". Il ristorante partì bene, la prima domenica pienone, lo stesso nei fine settimana successivi, in quel momento contavano soltanto la cassa piena e non andare a gambe all'aria, e reinvestire ogni lira nell'insegna. "Eravamo sempre pieni e in sala Ivano aggiungeva tavoli e persone ovunque. Come facesse non so".
Poi arrivarono le ambizioni, sempre misurate, un orizzonte dopo l'altro, ma il passo più lungo della gamba, secono il vangelo contadino. Fatto sta che oggi, trentacinque anni dopo (e l'Italia non fa i Mondiali da undici) Uliassi è tra i quattordici ristoranti italiani con tre stelle Michelin ed è il ristorante numero 43 nella lista dei cinquanta migliori del mondo della Fifty Best, la più importante lista mondiale della ristorazione, che come ogni classifica lascia il tempo che trova, ma intanto chi è dentro se la gode e chi è fuori rosica.
I motivi del successo di Uliassi fanno certo parte del mistero dell'umanità per cui qualcosa avvince e qualcos'altro no. Ma certo c'è l'affiatamento tra i due fratelli, con Catia, ragioniera mancata e artista per diletto, a curare la sala (suo marito, Mauro Paolini, è il responsabile della cucina e questo dà il senso della famiglia di cui vive l'insegna). Di certo c'è la continua incessante voglia di crescere, e sì che Mauro a 67 anni potrebbe anche tirare i remi in barca, a Senigallia di barche non ne mancano, e invece è così, mai guardarsi indietro, sempre lavorare e poi magari succede che vieni capito dopo, lui ci è abituato, è arrivato alla terza stella, in cima, a sessant'anni sentendosi, dice lui, come Dino Zoff quando vinse in mondiali del 1982 a quarantuno anni ed era stato dato per finito almeno cinque volte. E sarà pure che montarsi la testa, da queste parti, è quasi impossibile.
La cucina di Mauro Uliassi è saldamente ancorata a un territorio che - badate - è fatto di mare ma anche di acquitrini, di orti, di boschi e sottoboschi. E quindi rane, chiocciole, selvaggina, anguille, verdure. E Mauro pensa che sia più giusto raccontare la propria cultura gastronomica magari attingendo a ingredienti che arrivano da fuori, piuttosto che limitarsi solo a quello che ti dà ciò che hai intorno. Insomma, chilometro zero sì, ma della memoria. Ciò non toglie che la cucina di Mauro sia poi in continua evoluzione. Per questo ha creato il suo "lab". Nell'ultimo mese prima della riapertura, dopo la lunga pausa invernale, lui e i suoi collaboratori mettono sul tavolo le idee rimuginate nei mesi precedneti e filtrate secondo due filtri: quello dell'autenticità (devono raccontare qualcosa di vero) e quello della semplicità (devono essere facili da realizzare e da comprendere e con ingredienti reperibili). Ed ecco prendere forma il nuovo menu.
La proposta culinaria di Uliassi è articolate in tre carte, tutte a 270 euro: il Classico è una sorta di "hall fo fame" del pensiero di Mauro, e prevede piatti come Seppie scottate, olio di guanciale, bietola e miele, Ossobuco alla marinara (con trippe di baccalà) e gli Spaghetti affumicati con vongole e datterini arrostiti, oltre al benvenuto che è il leggendario Wafer di fegato di coniglio e shot di Kir Royal, che apre tutti i percorsi. C'è poi il menu Lab, quello più evoluto, l'aggiornamento filosofico: attualmente propone Lumache, crispigni e terroso di muschio, gli Spaghetti dedicati al grande fotografo senigalliese Mario Giacomelli (con nero di seppia, concentrazione di limone di Amalfi, olio al pepe di Timut e polvere di limone bruciato iraniano), l'Agnello alla brace, cardamomo, eucalipto e chutney di mirtilli.
E poi c'è il menu Caccia: e quindi Saltimbocca di quaglia alla senigalliese, Germano, ostrica, olio di perilla e semi tostati, Colombaccio alla marchigiana. Dimenticare le radici è un delitto, anche quelle che ti portano a imbracciare un fucile.