I pro-Pal continuano ad avvelenare il clima in Italia. L'assalto alla redazione della Stampa a Torino e la vandalizzazione della sinagoga di Monteverde a Roma sono solo gli ultimi episodi di una serie di atti intimidatori contro i giornalisti e la comunità ebraica italiana. Ma evidentemente tutto questo non basta. Anzi, è solo un piccolo assaggio di quello che avverrà prossimamente. Perché nel lungo post Instagram del Collettivo Universitario Autonomo di Torino non si lascia spazio a libere interpretazioni: la protesta è iniziata e non rientrerà, fate bene a preoccuparvi.
Il CUA ha avvertito la necessità di fare chiarezza su quanto accaduto venerdì, denunciando le reazioni univoche e criminalizzanti che hanno saturato il dibattito pubblico dopo l'irruzione nella redazione del quotidiano in via Lugaro. Cosa è accaduto? Il Collettivo non ha dubbi: migliaia di giovani sono scesi legittimamente in piazza per contestare la "manovra finanziaria di guerra" e il ruolo dei giornali italiani, colpevoli di costruire un immaginario complice del genocidio in Palestina e di essere "votato al mantenimento del potere attraverso una trasmissione ideologica completamente veicolata dagli interessi della politica istituzionale".
Fin da subito il governo e alcuni esponenti del centrosinistra hanno condannato l'offensiva dei pro-Pal, ma per il CUA non è affatto un attacco alla libertà di stampa: in fondo, si trattava di una semplice "azione dimostrativa". E quindi chi ha criticato l'assalto è caduto nella trappola di delegittimare chi coraggiosamente ed eroicamente si mobilita nelle scuole, nelle università e nelle piazze del Paese. "La spontaneità della rabbia, accumulata in due anni di bugie, si sfoga nella redazione, senza che nessuno si faccia male". Insomma, dai, sono bravi ragazzi.
Nel mirino del Collettivo sono finiti i giornali del gruppo Gedi, a cui è stata imputata la colpa di non aver speso una parola per i "giornalisti uccisi in Palestina" e di aver trattato in maniera "strumentale e subdola" la questione del "genocidio". E ovviamente non sono stati risparmiati neanche lo Stato e il governo, meritevoli di rimbrotto perché sono rapidi nell'indignarsi di fronte alle manifestazioni ma non riescono a mostrare alcuna urgenza nel condannare "lo sterminio di più di duecentomila palestinesi".
E poi l'arringa conclusiva. Finalmente la musica è cambiata: se ci aspetta un futuro fatto di leva obbligatoria per andare in trincea, allora "ben vengano giornate come quelle di venerdì".
Il tutto condito da un avvertimento indirizzato ai "vari destri e post fascisti" che invocano il carcere: "Fanno bene a preoccuparsi perché chi ha preso la strada della contestazione non sembra avere intenzione di fermarsi tanto presto".