"Errori voluti? Sicuramente". La stoccata dell'ex comandante di Garlasco

Il maresciallo Francesco Marchetto a Quarta Repubblica sulle prime indagini. E parla l'operatrice che intervenne a casa delle gemelle Cappa

"Errori voluti? Sicuramente". La stoccata dell'ex comandante di Garlasco
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Il caso di Garlasco è diventato un caso di studio. Per la stranezza giuridica, come dice il ministro Carlo Nordio, di un imputato assolto per due volte di fila e infine condannato per l’omicidio di Chiara Poggi con non pochi “ragionevoli dubbi”. Per i testimoni che spuntano a 18 anni di distanza. Per le piste che forse non sono state battute. Per le “anomalie” definite “decisamente insolite” su come sono state condotte le indagini. Per gli errori (la “firma" dell’assassino c’era, sulla maglietta, ma è andata perduta), per i tanti personaggi che corrono e ricorrono: Alberto Stasi, le gemelle Cappa, Andrea Sempio. A gettare un’ulteriore ombra sulla vicenda sono due interviste realizzate da Quarta Repubblica e mandate in onda ieri sera.

Mentre i pm indagano sulla presunta impronta di Sempio trovata nella villetta, le domande tornano a sfiorare le sorelle Cappa mai indagate. Sia per quella telefonata della sera prima del delitto, raccontata da Stefania ma che non risulterebbe dai tabulati. Sia per quelle che l'inviata di Nicola Porro chiama "le circostanze ambigue dell'agosto del 2007". La cronista ha infatti intercettato un’operatrice dell’ambulanza che intervenne due giorni prima del delitto, l’11 agosto, per un presunto tentato suicidio di Paola Cappa. La donna era in viaggio verso la casa dei Cappa quando riceve la telefonata di Stefania, anche lei volontaria nella stessa associazione: “Mi dice: ‘Cosa caz*** stai facendo? Dove stai andando? Tu adesso interrompi il servizio… [a chiamare] sarà stato mio padre o mia madre, non lo so. Mia sorella è una cretina”. Quando l’operatrice entra in casa “i suoi genitori non li ho neanche visti, ho intravisto sua madre che fumava delle sigarette. Paola aveva un segno sul collo, ma proprio superficiale”. Poi Paola rifiutò il trasporto in ospedale e la storia finì lì. Nessuno, infatti, si è mai preoccupato di approfondire quei segni "sottili" sul collo di Paola e né quanto raccontato dalla stessa gemella ad un ex fidanzato, ovvero che quando aveva 8 o 9 anni avrebbe subito “delle moleste sessuali” da parte “di un vicino di casa amico di famiglia”.

Difficile dire a cosa potrebbe portare questa pista. Come è difficile sapere se vi sia davvero un collegamento tra il Santuario della Bozzola, lo scandalo sessuale che l’ha investito e le ricerche sulla pedofilia trovate nel computer di Chiara Poggi, uno scenario "sognato" ed evocato dall'avvocato di Sempio, Massimo Lovati. Quel che è certo è che oggi abbiamo un testimone scovato dalle Iene, che ha taciuto “per paura” per 18 anni e ha infine trovato il coraggio di raccontare quello che gli era stato riferito sul borsone pesante, su una delle gemelle Cappa e su quel tonfo di qualcosa di finito nel canale oggi dragato dagli inquirenti. La domanda che molti si fanno è: perché decidere di vuotare il sacco solo ora? Il supertestimone spiega: “Sono andato da un amico alto ufficiale dei carabinieri di Milano che mi ha detto: ‘Io penso che le istituzioni in questo momento non sono affidabili, per tutelare la tua persona sarebbe meglio di tenerti per te queste cose finché non sarà il momento di doverle divulgare’”.

Chi sono queste “istituzioni” su cui non doveva fare affidamento? È la domanda a cui dovranno dare una risposta gli investigatori oggi. I quali però devono fare i conti anche con indagini condotte forse non proprio secondo tutti i crismi: “Sicuramente qualcosa è successo - ha ammesso l’ex maresciallo dei carabinieri di Garlasco, Francesco Marchetto - Dicono mancanza di preparazione? Sì, può essere. Cose volute? Sicuramente.

Questo è un puzzle dove secondo me la procura di Pavia in questo momento sta cercando di mettere tutti i pezzettini al suo posto. Quando si arriverà alla fine si scopriranno tanti bei intrighi e intrallazzi”. Marchetto nel 2016 venne condannato a 2 anni e 6 mesi per falsa testimonianza, accusato di aver mentito sulla decisione di non sequestrare la bicicletta da donna utilizzata da Stasi e conservata nell'officina del padre.

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